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Temporary Shop: nome inglese per definire un concetto molto semplice, un negozio che rimane aperto solo per un determinato periodo. Non a caso i Temporary Shop negli Stati Uniti vengono chiamati Pop-Up Store, negozi che compaiono all’improvviso nel contesto urbano e velocemente si dissolvono, arricchiti di eventi e di comunicazione non convenzionale.
Non più semplici luoghi destinati esclusivamente alla vendita, oggi i luoghi d’acquisto sono sempre più spesso spazi accoglienti, multisensoriali e multifunzionali, in grado di far circolare in maniera innovativa il messaggio di “marca” e di modificare il classico “atto del consumo” trasformandolo in una vera e propria esperienza.
Un cambiamento di usi e abitudini che si inserisce in un più ampio processo di ricerca da parte delle marche di soluzioni comunicative in grado di raggiungere in maniera efficace il moderno consumatore, caratterizzato da bisogni sempre più complessi e stratificati.
Questi nuovi luoghi sono spazi ibridi di intrattenimento, cultura, spettacolo e informazione, in cui il vero e proprio atto di vendita viene paradossalmente messo in secondo piano.
Negozi “a tempo” che, a dispetto delle tradizionali regole della fidelizzazione, chiudono dopo solo poche settimane di attività, giocando con il potere di attrazione indotto da un’offerta ricca ma limitata nel tempo.
Solitamente vengono aperti in luoghi particolarmente rappresentativi (zone esclusive, alla moda o addirittura in gallerie d’arte) per creare una sorta di evento, ma possono anche venire realizzati in luoghi di periferia come ad esempio capannoni industriali (come i “Guerrilla Store” realizzati negli USA da Comme De Garçons).
Spesso un grosso orologio che scandisce il countdown, cioè il tempo che manca alla chiusura definitiva dell’evento, diventa parte integrante dell’allestimento, per sottolineare ancora maggiormente che bisogna sbrigarsi se si vuole partecipare.
Un’idea di vendita che sempre di più sta conquistando i grandi brand desiderosi di distinguersi, focalizzare le proprie strategie per breve tempo su prodotti e servizi specifici, utilizzando location particolarmente rappresentative, inedite ed esclusive.
Hanno un target ben preciso da raggiungere e un’offerta unica e irripetibile intorno a cui nascono. Magari sono utili per lanciare dei nuovi prodotti, soprattutto quelli a tiratura limitata, altre volte vengono ideati per allargare il target di riferimento, altre ancora per svuotare magazzini di invenduto trasformando l’outlet in un temporary shop, un evento da non perdere!
È l’ultima frontiera del marketing: ottimizzano i costi, valorizzano la marca, aumentano la notorietà, generano guadagni diretti dalle vendite e sono sempre più utilizzati dalle aziende come strumento di comunicazione.
Lo scopo del Temporary shop è lo stesso di quello di una tradizionale campagna pubblicitaria, ma l’effetto finale è quello di dare la sensazione di partecipazione ad un vero e proprio evento unico.
Costo dell’advertising equivalente a zero: un database mondiale di milioni di affezionati, poche e-mail e tanto passaparola.
Solo a Milano nell’ultimo anno circa 150/200 aziende hanno organizzato un negozio temporaneo in una delle tante location che costituiscono l’offerta cittadina, ormai davvero ricca e variegata per tipologie degli spazi (circa una cinquantina), metrature e localizzazione.
Un po’ in tutta Italia e’ boom di Temporary. Molti i brand che hanno venduto i loro prodotti nei temporary store: Prada, Benetton, Nike, Puma e molti altri ancora.
A Roma il fenomeno è, finora, poco conosciuto o contaminato da altre tipologie di vendita. Non esercita attrattiva forse anche perché non adeguatamente pubblicizzato, oltre alla scarsezza di supporti tecnici e alla limitata comprensione delle normative.
L’idea è sensibilizzare le amministrazioni, le associazioni di categoria, i commercianti, i progettisti e i consumatori.
Lo studio di progettazione Colore e ... offrirà una utile occasione di conoscenza e sviluppo del fenomeno attraverso un workshop per progettisti e tecnici del settore, all’interno del quale coinvolgere in una tavola rotonda tutti gli interessati affinché anche a Roma e nel Lazio ci possano essere i presupposti per lanciare un fenomeno poliedrico, già consolidato nel mondo, in linea con la globalità dei mercati.
Arch. Daniela De Biase
Novembre 2011
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